L’Attesa

Inauguro la rubrica IMMAGINARtE, scrivendo questo articolo mentre mi trovo a Fiesole. Ho partecipato alla vernice di una mostra collettiva a Firenze, nella quale espongo la tela L’attesa, presso la sala congressi di un hotel a pochi passi dal Duomo.

Riaffacciarsi in Piazza San Giovanni è stato emozionante come le volte precedenti: un rapimento dei sensi che porta ad annullare la propria individualità, diventando parte del coro di persone presenti che si trovano nella stessa condizione di ammirazione. Mi chiedo se i Fiorentini riescano ad abituarsi all’immagine che si presenta ogni giorno davanti ai loro occhi o se, ogni giorno, debbano riscuotersi, per poter procedere con le loro attività.

Sulla scia delle domande inespresse e quindi senza risposta, mi chiedo che cosa ci faccia un mio quadro in questa città, e non sto pensando solo al contrasto con le architetture monumentali, ma anche e soprattutto alle opere figurative contenute nei vari palazzi e musei. Che giudizio potrebbe darne un turista che ne venga in contatto dopo aver visitato… gli Uffizi? Mi rammarico perché non avrò la possibilità di interloquire con questo ipotetico turista, con il quale volentieri passerei qualche minuto a parlare di arte.

La presenza, nella medesima mostra collettiva di un’altra tela ad olio dal titolo L’attesa, un nudo di donna incinta, tecnicamente ben riuscito e sicuramente molto più immediato concettualmente del mio quadro, mi spinge a cercare sul web qualche altro artista che abbia affrontato il medesimo tema e che sia abbastanza famoso da comparire nella ricerca di Google.

Non l’ho mai pensato da questo punto di vista, ma trovo che Edward Hopper, il pittore americano della solitudine e del silenzio, può anche essere considerato il pittore dell’attesa.

Osservo meglio i quadri proposti dalla ricerca, sullo schermo del cellulare, ed effettivamente inizio a chiedermi che cosa stiano aspettando i personaggi dipinti nelle varie scene stereotipate: la donna sul letto, di fronte alla finestra, in pieno sole; i nottambuli, circondati dal buio della notte; la donna di Automat, che cerca nel suo caffè la risposta ad una decisione che deve prendere. Momenti sospesi di vita quotidiana, magistralmente illuminati “a giorno” oppure da più o meno intense luci artificiali.

Automat (tavola calda) • E. Hopper, 1927

Agli antipodi del figurativismo realista di Hopper, la ricerca sul web non poteva non propormi le tele di Lucio Fontana, poiché i suoi concetti spaziali hanno proprio come titolo Attesa o Attese. Uno o più tagli (o buchi) sulla tela che assolvono il medesimo compito di tutta l’arte figurativa: quello di portare la luce sull’opera, luce non dipinta in questo caso, ma reale, dell’ambiente circostante. E nello stesso momento quel taglio pone un interrogativo che causa l’attesa di una risposta: cosa si vedrà attraverso? che cosa potrà venirne fuori?

Lucio Fontana

La tridimensionalità che lo sculture Lucio Fontana ha portato sulla tela bidimensionale (il taglio che rompe la superficie della tela creando la terza dimensione nello spazio che prima non c’era) fa discutere, come tutta l’arte contemporanea, innescando la necessità di un dialogo.

E così torno al fantomatico turista che si imbatte nella mia tela. Che cosa potrà mai commentare sulla mia tela L’attesa?

L’attesa • MarV Ciliberto, 2017 • olio e gesso su tela 80×80

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