Amour

di Michael Haneke

Dopo “La pianista” e “Niente da nascondere”, torna Michael Haneke con Amour.

L’ho visto sabato sera, senza troppa convinzione. Da una quindicina di giorni voglio vedere “Venuto al mondo”, ma aspetto il ritorno di Lui per vederlo insieme. Così scelgo Amour, un film presentato nel 2010, per tenermi compagnia.

Alla cassa del solito cinematografo, mostro il mio abbonamento e vedo che lo proiettano nella sala “oro”, la più grande. Quest’aspetto è promettente: è la sala che usano per i film che hanno più seguito.

Per la verità resterà per il 50% vuota. Mentre m’appresto a scegliere una poltrona a metà stanza (è la postazione che preferisco), ascolto due signore che hanno visto la proiezione precedente e si stanno avviando all’uscita: “Davvero bellissimo!”.

La pellicola inizia con un gruppo di pompieri che irrompe in una casa da dove fuoriesce un pessimo odore. Non c’è nessuno. Una porta chiusa ermeticamente con del nastro adesivo. Al suo interno una donna sdraiata sul letto, vestita accuratamente, contornata da petali di fiori bianchi.

L’inizio, in realtà, sarà l’epilogo della storia di George e Anne: due ottantenni, insegnanti di musica in pensione. Hanno una figlia, anch’essa musicista insieme al marito, i quali vivono all’estero. George e Anne ne hanno passate tante insieme: momenti belli ed altri molti difficili. “Ne abbiamo superate tante insieme, ma a questo non eravamo ancora pronti”: confesserà George alla figlia Eva.
Al ritorno dalla “prima” di un caro ex-allievo di Anne che oggi ha raggiunto il successo, George dà la buonanotte a sua moglie – “mi sento un po’ stanca” – dicendole: “Non te l’ho ancora detto che stasera eri davvero carina?”.
Li attende una mattina in cui i loro progetti hanno una definitiva svolta. Anne ha un episodio di catatonia: primo segnale d’allarme di una malattia che la condurrà alla paralisi destra del suo corpo. Ha inizio un declino che la porterà all’incapacità quasi totale di proferire anche delle semplici parole.
George decide di occuparsi personalmente dell’assistenza di Anne, con una dedizione ai limiti del sostenibile, una determinazione e lucidità che antepone alle inutili raccomandazioni di tutti.
“Hai forse qualcosa di serio da propormi?” – risponde alla figlia che cerca di convincerlo che non può continuare così – “Vuoi forse portare la mamma a casa tua? O vorresti rinchiuderla in un ospizio per malati? Perché lì non ci andrà, gliel’ho promesso un giorno”.
D’improvviso Anne si rende conto che la sua vita è terminata. È perfettamente cosciente del calvario che attende George, oltreché se stessa. E in tutti i modi cerca di sottrarsi, tentando anche il suicidio o lottando con tutte le sue forze per conservare un minimo di autonomia, per affidarsi infine completamente alle cure di lui. Momenti di smarrimento, di solitudine, colpiscono George, vagando sconsolato in una casa un tempo accogliente ed oggi troppo grande e vuota. Gesti d’un amore indissolubile con i quali George accompagnerà il decorso della malattia di Anne come un fatto naturale. “Non ci hai mai pensato che avrebbe potuto capitare anche a me? Tu cosa avresti fatto al mio posto?” – dirà ad Anne per aiutarla a superare uno dei momenti in cui lei si rifiuta di reagire. Gesti a volte anche duri per impedirle di lasciarsi andare, per tornare subito dopo ad una tenerezza infinita chiedendole perdono.

“Voi avete la vostra vita, lasciateci vivere la nostra” – ed è una vita in cui troveranno la forza per ancora cantare insieme, nonostante che Anne riesca solo più ad emettere pochi suoni. Una vita in cui scoppiare a ridere o piangere fa parte delle stesse emozioni. George calmerà i momenti più difficili di lei raccontandole storie: episodi della sua vita che non le aveva mai confessato. “Non me lo avevi mai raccontato!” – “Ci sono tante cose che non ti ho mai detto; dovevo proteggere la mia immagine”.

E sarà proprio dopo l’ultima storia che George si assumerà la responsabilità di porre fine alle sofferenze di Anne. Nei giorni seguenti le scriverà tutto ciò che vive: il colombo che entra per ben due volte da quella finestra da cui lei voleva buttarsi, lui lo acchiappa ma gli restituisce la libertà. E mentre le scrive, improvvisamente la casa si rianima di rumori persi nel tempo, si avvia in cucina e ritrova Anne intenta a terminare di lavare i piatti: “ho quasi finito, puoi iniziare a metterti le scarpe”. Dopodiché usciranno insieme, per l’ultima volta, dalla loro casa.

Emmanuelle Riva (Anne), ottantacinquenne, si propone eroicamente e stoicamente alla macchina da presa: la sua è quasi una via crucis, la sua bravura rappresenta qualcosa che va oltre la performance attoriale, che è vita. Ma è Jean Louis Trintignant (George), di 82 anni, a coinvolgere lo spettatore, convincere e anche commuovere. Rimangono impressi i gesti e le espressioni del suo volto provato.tEmmanuelle Riva (Anne), ottantacinquenne, si propone eroicamente e stoicamente alla macchina da presa: la sua è quasi una via crucis, la sua bravura rappresenta qualcosa che va oltre la performance attoriale, che è vita. Ma è Jean Louis Trintignant (George), di 82 anni, a coinvolgere lo spettatore, convincere e anche commuovere. Rimangono impressi i gesti e le espressioni del suo volto provato.

Michael Haneke (regista) racconta un’esperienza di vita vera, tra le più strazianti che esistano, e lo fa mostrandola in una maniera semplice e senza nessuna sfumatura melodrammatica. Non c’è neanche posto per musiche di sottofondo, nemmeno sui titoli iniziali o di coda. In Amour è l’amore il sentimento costante di sottofondo che ci conduce nell’intimità di una coppia unita da un legame indissolubile.

Un film che dovrebbero vedere tutti quei che parlano d’amore e di emozioni un po’ a casaccio. E sono tanti, troppi!

Titolo: Amour
Regia: Michael Haneke
Cast: Isabelle Uppert (Eva) – Jean Louis Trintignant (George) – Emmanuelle Riva (Anna) – Rita Bianco – Laurent Capelluto – William Schimell (Geoff)
Uscita: ottobre 2012
Durata: 127 minuti

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