Caruso, il tenore

Quando leggo qualcosa su Enrico Caruso, o lo ascolto , la mente va ad immagini lievi e romantiche, dolci e potenti allo stesso tempo, mi affascina il suo personaggio. Ha raggiunto grandi vette nel suo successo ed ha avuto anche grandi dolori. Le biografie di grandi uomini e donne di successo, ci mostrano sì grandi talenti, ma anche grandi dolori, fatiche e difficoltà; spesso anche grandi scontri interiori e grandi amicizie. Si arriva in cima dopo aver molto camminato, in un percorso in cui lasci e prendi qualcosa e non sai mai veramente quale delle due condizioni fa soffrire di più. Caruso è nato a Napoli il 25 febbraio 1873, morto nella stessa città a 48 anni per una pleurite.  Il padre è un meccanico e la madre casalinga. Lavora come meccanico da giovanissimo e comincia a cantare all’oratorio, poi nei caffè e nelle feste private. Il suo timbro di voce è particolare, la voce bellissima incanta. Mentre canta in uno stabilimento balneare, viene notato dal baritono Edoardo Missiano che gli permette di seguire delle lezioni di canto in modo regolare. Incontra il barone Costa appassionato di musica che indica ad Enrico Caruso l’opera che meglio si adatta al suo modo di cantare la “Cavalleria Rusticana”. All’inizio non ha successo e prova la delusione e il dolore del fallimento.  Allo stesso tempo non mancano  personaggi che lo seguono con interesse spingendolo a continuare. Ha un repertorio molto vasto: Puccini, Verdi, LeoncavalloBellini e altro ancora. La sua intraprendenza lo fa entrare in contatto con Giacomo Puccini. La svolta arriva con il successo trionfale di “L’Arlesiona” di Francesco CileaCaruso ha 24 anni: i teatri di tutto il mondo gli aprono le porte. Sarà proprio nella sua città a non avere l’attenzione e l’accoglienza che si aspetta. Dopo questa grande delusione non canterà più a Napoli. Canta al Metropolitan di New York per ben 607 volte.

La sua vita privata non è felice. Ha amici che gli dimostrano affetto e vicinanza e persone che entrano nella sua vita per diffamarlo o estorcergli denaro. Tra sensibilità negate e derise, tra trionfi, dolori e grandi entusiasmi si dispiega la sua vita a  volte ricca a volte solitaria.

Un giorno, dopo molti anni da questi avvenimenti, Lucio Dalla, per un guasto alla sua barca, è costretto a restare a Sorrento e alloggia nella suite dell’Hotel Vittoria, in cui il tenore era vissuto negli ultimi mesi della sua vita. In quella stanza Caruso aveva dato lezioni di canto ad una ragazza di cui poi s’innamorò. Lucio Dalla restò affascinato da quella storia e da quella stanza e proprio lì compone una delle canzoni più belle mai scritte, usando quel pianoforte che era stato compagno del tenore.

La passione del tenore, la passione di Lucio Dalla, s’intrecciano in quel filo sottile e meraviglioso che unisce le persone ed i loro sentimenti  senza limite di tempo, di spazio o di età, un filo tenace che non molla la presa finché la vita non realizza ciò che aveva preparato. È una passione intensa commossa e viva che proviamo anche noi quando ascoltiamo “Caruso”.  L’arte in fondo non è altro che unione di tempi, di menti, di vite, di emozioni: è Lei che rende ogni passo senza tempo, ogni percorso capace di essere conosciuto o riconosciuto. È un grido d’amore per una donna, ma anche per il mare, il sole, i colori di una terra, è un grido di una vita e di ogni vita che vive e crea al di là di ogni atto superficiale, di ogni atto che richiede lo schema rigido della divisione tra passato, futuro e presente.

Potenza della lirica,
dove ogni dramma è un falso,
che con un po’ di trucco e con la mimica
puoi diventare un altro. […]
Davanti al Golfo di Surriento
un uomo abbraccia una ragazza
dopo che aveva pianto.
Poi si schiarisce la voce
e ricomincia il canto.

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