Il peso delle parole

Pascal Mercier

Dopo aver letto “Treno di notte per Lisbona” non potevo non calarmi nella nuova scrittura di Pascal Mercier, “Il peso delle parole”. Di nuovo ho impattato con un capolavoro letterario, una scrittura di rara bellezza che non ha tradito minimamente le mie legittime aspettative. Sono quasi 600 pagine che corrono via senza il benché minimo cedimento. Si resta incollati, saldati al romanzo, con un coinvolgimento emotivo che solo una penna sublime e raffinata, come quella di Pascal Mercier, è in grado di generare e stimolare. Non si è mai sazi della scrittura di questo grande autore.

Il protagonista, Simon Leyland, da sempre è affascinato dai suoni e dal significato delle parole. Diversamente dal volere dei suoi genitori, abbandona un destino già scritto e si dedica all’attività di traduttore. Dopo una vita trascorsa in Inghilterra si trasferisce a Trieste dove vivrà con la moglie Livia, i figli Sophia e Sidney. Livia ha ereditato un’importante e avviata casa editrice e per questo motivo la famiglia decide di stabilirsi in Italia. La prematura scomparsa della moglie porterà Leyland, seppur con qualche titubanza, alla conduzione e gestione della casa editrice. Lo farà ininterrottamente per diversi anni fino al giorno in cui non gli viene diagnosticato un tumore al cervello. Leyland non sa quanto gli resta da vivere; di certo non permetterà a nessuno di aprire la sua testa. Vivrà meno, forse, ma vivrà “intero”.

Il protagonista è un personaggio profondo e particolare, sicuramente affascinante. Da sempre insegue il suo grande sogno; imparare tutte le lingue parlate nel Mediterraneo. Ha paura di perdere le “parole”, di dimenticare lingue e dialetti studiati, negli anni, con amore e passione. Teme di perdere anche la “scrittura” perché il male potrebbe minare i movimenti più semplici e naturali. Per questo decide di avviare una corrispondenza con la sua Livia. Raggiunge la donna amata. Va oltre la morte, la sbugiarda con i ricordi. Informa Livia, dialoga con lei come se vivesse in un eterno presente, nell’attesa di un’incombente incertezza. Scriverà “Cara, oggi è il mio primo giorno di quanto mi resta da vivere”. Non c’è futuro nella penna ancora viva di Simon; nel suo nuovo tempo ora ci sono dei confini rigidi e stretti, dettati dalla malattia, che prima non aveva. Ripercorrere, ricordare il proprio passato sarà un modo per provare la stabilità di una mente minata. Le frequenti emicranie fanno paura.

Non si può non amare il personaggio di Simon Leyland. La seducente penna di Mercier rende la scrittura intima, introspettiva, marcatamente interiore. Il protagonista si racconta nei tratti più nascosti del suo essere. Non c’è solo una trama agile e avvincente. Ci sono i personaggi con tutte le passioni, le idee, i sogni, le speranze. Sono protagonisti interessanti, singolari, unici; portatori di bellezza nell’animo che li contraddistingue. La vita di Leyland, in particolare, appare ferma dopo la scoperta della malattia. Qui il presente diventa la fine; il protagonista proietta sé stesso in un vissuto che vede ormai con occhi diversi e distaccati. Sono occhi affamati che bramano “verità”. Il nuovo sguardo dell’anima vive nella paura di un buio imminente che negherà parole, comprensione, ricordi, lingue conosciute. Fino a quando una testa malata reggerà l’urto di un tumore? È così che Leyland deciderà di vendere la casa editrice. L’annuncio di una morte imminente lo aveva consegnato alla solitudine. Non una solitudine sentimentale… aveva figli e amici, ma era pur sempre un cammino solitario verso la morte.

Dal brutale annuncio della malattia sono trascorse undici settimane quando Leyland scoprirà di essere stato vittima di una diagnosi sbagliata. Uno scambio di referti, un errore: non morirà. Nessun tumore, solo un piccolo disturbo circolatorio che genera crisi passeggere e controllabili. Sarà proprio lo sbaglio, l’errore a portare il protagonista verso una profonda chiarezza interiore. Dopo la vendita è un uomo libero che ha riscoperto la vita e il futuro. Qualcosa lo richiamerà a Londra: la morte dell’amato zio Warren Shawn. Ha ereditato la sua casa, ricca di libri e volumi provenienti da ogni angolo del mondo. Leyland era stato, ed è, un grande traduttore. Non aveva mai cercato la “propria voce”, come suo zio. Come traduttore si avvicinava all’autore come nessun altro. Significava vicinanza oltre il semplice contatto fisico; una sorta di inaudita invasione nel mondo interiore dell’autore.

In ogni parte del romanzo si può apprezzare la bellezza dei dialoghi tra i diversi protagonisti. Sono dialoghi intrisi di grande sensibilità. Mercier mostra i suoi attori negli aspetti più intimi del loro essere e sfiora costantemente il cuore del lettore. Tutto il romanzo è costruito intorno a personaggi straordinari. Minuziosamente l’autore ne descrive le storie, le emozioni, i sussulti dell’anima. Emerge in modo ricorrente il forte e autentico legame tra il protagonista e i due figli. Anche loro, come il padre, sono sognatori, portatori di sani ideali.

Kenneth Burke è un ex farmacista; un moderno Robin Hood. È l’uomo dei farmaci regalati nel tentativo di aiutare i più bisognosi. Vive in una casa londinese adiacente a quella ereditata da Leyland. Pat Kilroy è un irlandese trapiantato a Trieste. Lavora in una trattoria e scoprirà di amare l’Italia più della sua terra d’origine. Andrej Kuzmin, figlio di un russo e di una basca, è un uomo di cultura, un traduttore che ha conosciuto la solitudine del carcere. E poi Paolo Michelis, Caterina Mizzan, Francesca Marchese, Mary Ann Ashcroft e altri… tutti personaggi, portatori di attraenti destini, che ruotano intorno alla vita di Leyland.

I vari protagonisti vivono scossoni e balzi in avanti nel tempo; una sorta di vuoto non vissuto, passaggi esistenziali quasi irreali. Accade a Leyland nell’esperienza dell’errata diagnosi. Lo vive Sophia nella sua ferma decisione di ribellarsi alla “casta bianca” per trasferirsi a Londra dal padre. Lo testimonia Sean parlando della degenza in ospedale di sua madre. Lo percepisce Burke quando scopre che la sua vecchia farmacia non esiste più. Sono veri terremoti dell’anima, strappi laceranti. In queste fatali forme, il tempo diventa astratto ma sostanziale regista di destini bizzarri e insoliti. Cambia i corsi della vita, gestisce gli eventi. In tutto ciò è la brillante ed energica scrittura dell’autore a rendere il romanzo ricco di colpi di scena e di una grande intensità emotiva.

Ci si interroga sul tempo sciupato, sprecato; magari trascorso evitando d’inciampare in un obbligo di fare qualcosa ritenuto “importante”. Non sono forse gli uomini a perdere chance di vita perché troppo dediti a inseguire un tempo frenetico, imperioso e tirannico? Ci si interroga sul peso delle parole. Leyland, da esperto traduttore, sa benissimo che le parole, da un lato hanno un significato oggettivo, dall’altro hanno un significato musicale. Le lingue come espressione di melodia di vita… tonalità emotive, ritmo del periodare. Nel tradurre ha interagito sempre con parole dette da altri anche se qualcosa di intimo e profondo si crea. Negli anni aveva levigato frasi, curato espressioni e parole affinché si potesse giungere alla perfezione.

Il nuovo tempo vissuto lo pone al cospetto di un dilemma. Poteva mai esistere una voce propria e ribelle quando, per una vita intera, aveva dato voce a parole originate da altri? Era proprio questo che Warren Shawn gli chiedeva nella sua lettera di addio alla vita. L’incontro con Paolo Michelis insegnerà che c’è sempre un tempo che attende. Paolo da dieci anni lavora al suo romanzo. Un’impresa straordinariamente folle di mille e più pagine. Appunti sparsi ovunque, presi anche sulle ricette, sulle scatole e sui bugiardini dei medicinali. Paolo aveva usato le parole del “prima” e quelle del “dopo”; tutte tenevano insieme la vita, come un grande fermaglio che genera unità.

È così che Leyland sente finalmente una voce propria. In fondo anche scrivere potrà essere una sorte di risveglio. Per la prima volta udirà il suono delle sue parole. Ora prova e sente quella felice impazienza di cominciare a scrivere. Scrivere anche nella prudenza, nella paura di leggere sé stesso in quelle sue parole. E le parole sono libere nelle espressioni che contengono… corrono, avanzano, arrivano al punto. Scoprirà, finalmente, che la fantasia della scrittura è il vero luogo della libertà. Un romanzo vero, autentico, puro, profondo… una lettura che apre la mente e risveglia l’animo.

Pascal Mercier è lo pseudonimo con il quale Peter Bieri (Berna 1944), docente di Filosofia della Freie Universitat di Berlino, firma i suoi romanzi. Ha pubblicato numerosi libri. Nel 2007, con Treno di notte per Lisbona, si aggiudica il Premio Grinzane Cavour per il miglior romanzo straniero. È stato tradotto in trentadue lingue. Nel 2008 esce, per Mondadori, Partitura d’addio. Nel 2013 il regista Bille August ha tratto dall’omonimo romanzo il film Treno di notte per Lisbona con Jeremy Irons nel ruolo del protagonista. L’autore da sempre ha affiancato alla carriera accademica le sue attività in ambito filosofico e letterario. Il peso delle parole è il suo nuovo romanzo.

Titolo: Il peso delle parole
Autore: Pascal Mercier (traduzione di Elena Broseghini)
Editore: Fazi Editore
Pubblicazione: 2022
Pag.: 586
Costo: euro 20,00      

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