La comunita’ dei viventi

Idolo Hoxhvogli

La comunità dei viventi” di Idolo Hoxhvogli è un testo filosofico sicuramente complesso e profondo. È un libro che fa riflettere sull’uomo, sulle sue imperfezioni, sull’esistenza terrena e sulla dimensione divina. Nel suo viaggiare “nomade”, l’uomo rende il suo Dio fragile. L’autore propone interessanti riflessioni sulla vita, sulla morte, sui concetti religiosi. La direzione, l’approdo finale, però, è sempre la vita stessa… obiettivo, scopo che appare nitido contro ogni umano fallimento.

Il testo resta sospeso tra fenomeni trascendenti ed esperienze umani tangibili. Idolo Hoxhvogli è maestro nel presentarci un viaggio che tocca il singolo individuo fino alla più ampia dimensione universale. L’eccessiva prudenza è generatrice di inevitabili paure. Il viaggio, invece, e l’ignoto che lo caratterizza, dovrebbero avere occhi desiderosi e in rapido movimento. La vera esistenza è quella in cui si ha una continua convivenza con il pericolo.

La “Comunità dei viventi” sono gli uomini, siamo tutti noi, alla ricerca di una salvezza collettiva che non può prescindere dal pericolo individuale. Ogni uomo, in fondo, ha la sua disciplina interiore. Le considerazioni dell’autore, quindi, si muovono lungo questa direzione.

Alla base di tutto ci sono due vocazioni fondamentali. Da un lato abbiamo la voce di Dio: la legge, il percorso divino che si fa Uomo. Dall’altro, il peccato: l’uomo è sedotto, violenta la creazione in una sorta di viaggio verso gli inferi. Nel testo si riscontrano denunce e consapevolezza su cosa fanno gli uomini e in quale direzione si muovono.

In più punti l’autore analizza il concetto del “Tempo” e della “Libertà”. L’uomo nasce imbrigliato e vive una sorta di libertà vigilata. La stessa misurazione del tempo, ormai presente in ogni ambito dell’esistenza, non fa altro che negare il tempo alla vita. Abolire gli orologi, potrebbe significare aprirsi al viaggio ancor prima di partire; senza vincoli e condizionamenti. Un po’ come dare i nomi a tutto… è come depredare, nel momento in cui si codifica e si organizza. La salvezza, al contrario, è in esilio dai nomi.

Non mancano le riflessioni sullo “Spazio”. L’uomo tende ad occupare spazi eccessivi rispetto al necessario. È nell’eremo che vive lo spirito. Esiste un confine, una vibrazione tra l’essere soli o in compagnia della propria solitudine. Forse è proprio su questo spazio di confine che abitiamo veramente in una sorta di solitaria esistenza dell’anima.

Ci sono anche spunti che spiegano il passaggio dal particolare al generale. Per natura l’uomo è diffidente. Se un suo simile si avvicina, l’anima si allontana. Disegnare un’ipotetica mappa delle anime diffidenti è come proporre mondi ignoti, nazioni in guerra, frontiere “ballerine”, democrazie ipocrite. Diversamente, gli alberi, con i rami, attraversano gli anni; il tempo non gli appartiene. Hanno radici nascoste nella terra ma guardano il cielo. Sono fermi ma fanno la rivoluzione… la vita interiore che si muove e rinnova, le foglie, i cambiamenti nelle stagioni.

La stessa gestione del potere, da parte dell’uomo, appare in tutta la sua ricorrente iniquità. Il potere sfocia nel dominio anche contro la volontà del “Dominato”. Il potere si fa accettazione (normato tramite testi e leggi); diventa quasi un’assurda salvezza tale da renderlo “giusto” nella grave ingiustizia di fondo da cui nasce. Il vivente codifica ogni cosa mediante un ordine presunto. Stare fermi, immobili, è come essere vittima di una dittatura inattesa ma reale. L’incognita, l’inaspettato, possono avviare una rivoluzione nella comunità dei viventi.

Il naufragio del mondo, la sua decadenza, esistono anche se, alla base, abbiamo la purezza dell’infanzia. Gli adulti danneggiano il primo, puro “negativo” che appartiene ai bambini. La violenza, gli orrori della cronaca diventano strumenti di vita spingendo l’esistenza verso un decadimento generale.

In questo quadro, solo l’uomo libero riesce a vedere e a percepire una dittatura. Gli uomini sono spesso ridotti a un insieme di dati; inseguitori di astratte mete informatiche, non sono altro che errori di sistema. L’uomo ha la straordinaria forza di creare sé stesso per poi distruggersi. Chi ha in mano le redini del gioco cerca di mettere in sicurezza la comunità; per il bene dell’uomo non fa che promuoverne la fine.

Nella realtà virtuale che spesso si vive vengono smarriti gli spazi umani. Si va verso il “non-viaggio”; un dare le spalle a Dio. Le strade umane e quelle tracciate sono preoccupanti, nell’orrore di una padronanza vincolante. Forse converrebbe uscirne, stare di lato, alla ricerca delle relazioni con l’invisibile.

Il messaggio profondo che l’autore vuole trasmettere è duplice. È atto di accusa, coscienza sulla comunità dei viventi. Diventa sogno e speranza; è apertura alla vita che attende, ma senza dare spazio ad inutili consolazioni. La distruzione promossa dall’uomo non può vincere sulla comunità dei viventi. Sarà l’uomo stesso, grazie alle figure della libertà, ad avviare il suo processo di salvezza.

Idolo Hoxhvogli è nato a Tirana nel 1984 e vive a Porto San Giorgio, nelle Marche. Ha studiato filosofia presso l’Università Cattolica di Milano e presso l’Università di Macerata. I suoi scritti sono stati pubblicati in numerose riviste tra cui “Gradiva” e “Cuadernos de Filologia Italiana”. Ha scritto “Introduzione al mondo” (Cagliari 2011, Napoli 2015).   

Titolo: La comunità dei viventi
Autrice: Idolo Hoxhvogli
Editore: Editrice Clinamen
Pubblicazione: 2023
Pag.: 57
Costo: euro 13,90

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