a cura di Sonia Etere
Ho riletto Peter Camenzind dopo più di 30 anni, c’è una magia profonda nel riaprire un libro su cui è passato il tempo dei tuoi anni, è come incontrare un amico dopo tanto e non provi l’imbarazzo di non sapere cosa dire. Si vive un incontro in questo modo approfondendo passaggi che avevi sorvolato, parole che ti entrano nell’anima e di cui oggi ne conosci il valore interamente, osservi i paesaggi e le emozioni di chi scrive e le tue con un palpito diverso. Ho provato personalmente un sentimento vicino alla riconoscenza, alla conoscenza nuova.
Hermann Hesse attraverso Peter Camenzind fa parlare se stesso, la sua voglia di viaggiare, di scoprire e di scoprirsi, di conoscersi e lo fa con l’attenta condizione di chi si avvicina con cura a ciò che fa parte della sua vita in quel momento. Solo lasciando ciò che è noto per attraversare sentieri nuovi, si può tornare a ciò che eri, a ciò che amavi, a ciò che era la tua primordiale essenza. Ogni volta che dai un significato a ciò da cui sei fuggito o hai attraversato troppo velocemente, recuperi te stesso. Così accade a Peter Camenzind: esce dalla sua casa natale per andare verso ciò che diventerà e ciò che incontrerà, a chi incontrerà e saranno proprio questi incontri, a volte inaspettati, ad arricchirlo e farlo riflettere, liberandolo da preconcetti e paure, regalandogli la saggezza libera che spesso vive in noi inascoltata. Ci regala se stesso, la descrizione attenta delle sue montagne, dei venti temuti, dei rapporti che cambiano come cambia la prospettiva attraversa la quale li vedi. Hermann Hesse ci regala le parole di un movimento universale, così ricco che non si distingue più chi è a dare e chi a ricevere. Riporta le sue parti vissute nel loro posto interiore ed è così che si conosce la serenità della saggezza.
È un’esperienza delicata leggere questo libro la prima volta, è un’esperienza commovente leggerlo a distanza di tempo. Il recupero del passato è il modo migliore per credere nel proprio futuro e vivere nel presente.
